Ucraina, trincea d’Europa. È questo il titolo del reportage che insieme al fotografo e reporter Alberto Palladino abbiamo girato ad agosto 2022.

Da quel “fronte orientale” ci giungono storie di fede, coraggio e solidarietà che ci ricordano plasticamente che la guerra non è più così lontana come pensavamo fino a poco tempo fa.

Concetti come confine, nazione, tradizione e identità ritornano attuali perché la violenza, o se vogliamo la “forza militare”, sono variabili che non possono essere eliminate dall’equazione della storia ma che ritornano continuamente in forme e modalità quasi sempre cristallizzate dal tempo.

Proprio nell’oblast di Kyiv abbiamo conosciuto i ragazzi del “Battaglione Revanche”, giovani combattimenti al servizio dell’Ucraina che abbiamo seguito nel centro d’addestramento in una loro giornata tipo.

Il teschio con il pugnale fra i denti sulle uniformi, i pick-up camouflage e i Kalashnikov che gli ha dato il governo. Non siamo sul Carso nel 1917, siamo a Kyiv, oggi. In una ex palestra incontriamo i volontari del “battaglione vendetta”. Si ispirano direttamente agli arditi assaltatori della prima guerra mondiale e alle legioni dannunziane, quando glielo si domanda annuiscono con orgoglio: “Come gli arditi italiani, combatteremo fino all’ultimo uomo”.

Sono tutti giovanissimi, tra i diciotto e i trent’anni, vengono dagli oblast appena liberati o sono studenti della capitale. Tra loro ci sono ultras e ragazzi laureati. Quello con il dottorato in Scienze politiche oggi comanda il plotone dei mortai.

“Siate pronti a difendere la vostra terra”, ci dice Dovzhenko indossando un passamontagna. “Sono qui a combattere per ciò in cui credo, per la mia religione, per la patria e per l’Europa. È la mia casa e la devo proteggere dall’orda russa”. Che se dovesse vincere distruggerebbe “la cultura occidentale”.

Lui è stato a Irpin e Gostomel e quando ricorda quanto ha visto, la voce si spegne in un lungo silenzio. “C’erano molti civili morti, troppi”. Si è arruolato con i volontari al secondo mese di guerra, tornando dalla Polonia, dove ha lasciato a metà il corso di politologia all’Università di Cracovia.

Qui nella base, tenuta in località segreta, foto e video devono passare dal suo stretto controllo per evitare di rivelare luoghi o volti, soprattutto, dei soldati che provengono dall’est. “Temono rappresaglie sulle famiglie che sono lì”. Nel pomeriggio tiene un corso di storia europea ai volontari, poi arrivano gli istruttori e si comincia a fare sul serio.

Nella base, sveglia presto, adunata, alzabandiera e poi subito le prove fisiche all’aperto, fucile in spalla, sempre. Per la tattica c’è un veterano del Donbass. Non rilascia interviste né si fa fotografare ma ci fa vedere come smonta e rimonta un Ak-74 in pochi secondi. Dopo il corso base le reclute raggiungeranno località predefinite per gli stage di specializzazione, artiglieria, sminamento e armi anticarro, con i famosi Javelin che per i volontari ucraini sono diventati una sorta di feticcio tanto da immortalarcisi addirittura nei selfie.

Incontriamo due volontari di vent’anni, sono da poco rientrati dal fronte. “Kuzma” fa il mitragliere, ha gli occhiali ma le spalle larghe. “Al fronte ho incontrato gente che non la pensava come me, eravamo lì insieme contro il nemico. I Russi dicono di combattere per Cristo o per gli Slavi, ma quando vincono una battaglia alzano la bandiera rossa. I nostri prigionieri vengono torturati”.

Per “Smurf”, l’artigliere, “l’esercito russo è sovrastimato, stanno usando mappe del 1984. Parlano di efficienza a Mosca ma molti di loro sono allo sbando”. Molti analisti militari hanno notato senza troppa difficoltà che la guerra lampo di Putin contro i nazisti si è più volte impantanata in ritardi logistici e imboscate tese da truppe irregolari. 

“A volte si ha l’impressione che i russi non stiano combattendo contro un nemico specifico, ma contro la paura di rendersi conto della propria debolezza. La discrepanza tra la realtà e le illusioni in cui vogliono vivere sta diventando più chiara.” Parla di “abisso” Bohdan Khodakovski, il capo. Una lunga militanza nel partito conservatore ucraino, la croce ortodossa al collo e una pistola semi-automatica Форт-12 nella cintura. Il governo le ha date alla guardia nazionale e alla polizia per sostituire le vecchie Makarov sovietiche. “Non sarà una Beretta” ci dice, “ma almeno questa è made in Ucraina”. Ci mostra anche altro, una fornitura di Ak con matricole speciali. Sono armi fantasma, “servono per la guerriglia”. O la guerra civile. In tutta l’Ucraina si ha la sensazione che finito il conflitto quel fiume di armi non tornerà nei depositi ministeriali.

Persino il prete che segue il battaglione ha dovuto superare l’addestramento base. Benedice i ragazzi che partono per il fronte e riguardo all’Europa non ha dubbi: “E’ la culla della civiltà, dove sono sorte le cattedrali, le università. Oggi però l’ideologia modernista l’ha resa debole. Noi per l’Europa sogniamo una nuova crociata ”.